La sigla BYD sta per «Build Your Dreams», cioè «costruisci i tuoi sogni». Ma un numero crescente di provvedimenti induce il sospetto che l’acronimo del colosso cinese delle auto elettriche, che sta invadendo il mondo e pare imbattibile per qualità del prodotto e prezzi, possa significare qualcosa di molto diverso. Qualcosa come «Bypass Your Defenses», cioè «aggira le tue difese». Perché un’ipotesi prende sempre più corpo, in Occidente, ed è un’ipotesi grave e sconcertante: spionaggio.
L’ultima, sorprendente decisione è stata presa alla metà di aprile dal ministero britannico della Difesa. Agli oltre 4.500 addetti della Royal Air Force di stanza a Wyton, non lontano da Cambridge, è stato ordinato di parcheggiare l’auto «ad almeno due miglia di distanza» dalla base (l’equivalente di 3,2 chilometri) se la vettura è cinese e soprattutto se si tratta di una BYD. Il vecchio aerodromo della RAF a Wyton è cruciale per la sicurezza nazionale: oggi ospita il Pathfinder Building, un edificio di 25 mila metri quadrati che è il principale centro d’intelligence militare del Regno Unito e uno tra i più avanzati al mondo, dove i migliori analisti e funzionari inglesi operano 24 ore su 24 assieme ai colleghi di altri Paesi della Nato.
Il divieto, che poi s’è esteso a tutte le strutture dell’intelligence britannica, nasce dal timore che la tecnologia integrata nei veicoli BYD, come in quelli di altre case cinesi, possa essere sfruttata a scopo di spionaggio. Le nuove auto elettriche, in effetti, sono equipaggiate con un’ampia gamma di sensori e di telecamere, interne ed esterne, ma anche con microfoni e con sistemi di connettività avanzati (Gps, wi-fi, Bluetooth, 5G…). Questi sistemi sono essenziali per la guida assistita, la navigazione e gli aggiornamenti software.
Londra, però, è convinta che l’armamentario possa essere utilizzato anche per tracciare i movimenti del personale che lavora a Wyton e in altre strutture militari strategiche. Ogni veicolo parcheggiato nelle loro vicinanze potrebbe monitorare e filmare movimenti e flussi degli addetti, o le reti di sorveglianza, e potrebbe anche identificare veicoli o targhe e fornire informazioni preziose ai servizi segreti della Repubblica popolare. Tutti i dati raccolti, infatti, potrebbero essere trasmessi ai server della casa, attivi in Cina. Dove dal giugno 2017 la «Legge sull’intelligence nazionale», all’articolo 7, obbliga cittadini e aziende (in patria come all’estero) a «sostenere, assistere e cooperare» con il Guoanbu, l’equivalente della Cia a Pechino, fornendogli ogni tipo d’informazione «utile agli interessi dello Stato» di cui entrino in possesso. Imprese e cittadini cinesi, per di più, sono obbligati a «tenere coperto ogni elemento del lavoro d’intelligence di cui siano a conoscenza».
Per gli stessi motivi, le principali aziende inglesi attive nella difesa – dalla British Aerospace alla Rolls-Royce – hanno proibito alle vetture elettriche di BYD, e comunque di fabbricazione cinese, il parcheggio nei pressi dei loro stabilimenti. Alcune società hanno intimato ai dipendenti di non connettere i cellulari alle auto: la preoccupazione è che i sistemi informatici possano installare uno spy-ware in grado di trascrivere messaggi di testo, registri delle chiamate, dati di localizzazione e documenti sensibili. Le aziende hanno addirittura sconsigliato i dipendenti dal discutere di temi di lavoro «sensibili» all’interno dei veicoli, perché i microfoni integrati o altri sistemi di sorveglianza potrebbero registrare e trasmettere le conversazioni.
Le inquietudini britanniche sono in parte originate oltre Atlantico, dove dal gennaio 2024 il Pentagono è sottoposto dal «National defense authorization act» al divieto di acquistare batterie elettriche da BYD e da altre cinque società cinesi, tra cui la Catl (Contemporary amperex technology) non solo perché soggette alla legge sull’intelligence nazionale, ma anche perché legate all’esercito cinese. L’Atlantic Council, un think-tank di Washington, ha confermato che BYD avrebbe consolidati legami con il ministero della Difesa di Pechino, tanto da aver ricevuto già nel 2019 «un prestigioso premio statale per i contributi dati alla tecnologia militare». Un notevole allarme aveva suscitato anche l’ex presidente americano, Joe Biden, quando il 29 febbraio 2024 aveva annunciato un’indagine sui veicoli elettrici cinesi, a partire da quelli di BYD, per garantire la sicurezza nazionale dall’importazione di vetture che il suo segretario al Commercio, Gina Raimondo, aveva definito testualmente «smartphone su ruote, in grado di raccogliere enormi quantità di dati sensibili». Intrinsecamente connessa alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, l’indagine contro lo «spionaggio su quattro ruote» ha poi spinto a norme restrittive.
Nel gennaio 2025 il Bureau of industry and security americano ha bloccato l’importazione di veicoli elettrici «progettati, sviluppati, fabbricati o forniti» in Cina e in Russia. Il divieto è entrato in vigore lo scorso marzo, ma dal 2027 anche alle case automobilistiche americane sarà proibita la vendita di vetture elettriche, se anche uno solo dei loro componenti (dalle batterie in giù) risulti prodotto da un’azienda della Repubblica popolare. Presentando la norma, accanto ai pericoli di spionaggio, il Bureau ha fornito nuove motivazioni al blocco anti-cinese: il timore che i produttori possano creare «interferenze nella guida» e addirittura «la disabilitazione da remoto dei veicoli».
Fondata nel 1995 da Wang Chuanfu, un chimico che gode di altissima considerazione nel Partito comunista cinese (lo scorso febbraio è stato uno dei sette top-manager ricevuti in pompa magna dal presidente Xi Jinping), BYD ha iniziato producendo batterie per telefoni cellulari e diventando rapidamente il principe fornitore di Motorola e Nokia. Nel 2003 l’azienda è entrata nel settore dell’auto e in soli due anni ha lanciato il primo modello. Nel 2024, con quasi un milione di dipendenti, BYD ha venduto 4,3 milioni di veicoli nel mondo ed è leader globale negli autobus e nei camion elettrici.
Il suo primo mercato estero è il Brasile, dove nel 2024 ha venduto quasi 77 mila veicoli e dove la casa ha deciso di costruire una fabbrica a Camaçari, nello Stato di Bahia, con una capacità produttiva di 300 mila vetture l’anno. Lo scorso 23 dicembre, però, un’improvvisa ispezione del ministero del Lavoro brasiliano ha scoperto che 163 operai cinesi impegnati nella costruzione dell’impianto erano ridotti quasi in stato di schiavitù, e l’indagine che ne è derivata sta frenando i piani dell’azienda.
In Europa le BYD vendute nel 2024 sono state circa 150 mila. Nell’Unione, peraltro, esistono norme, come il Regolamento generale sulla protezione dei dati del 2016 e il Data act del 2024, che in teoria dovrebbero impedire controlli indebiti sui consumatori. Contattata da Panorama, BYD non ha voluto fornire risposte. Sul suo sito, la casa sostiene di essere «disposta ad accettare la supervisione degli organismi di regolamentazione sul suo lavoro di conformità in materia di protezione della privacy».
I sospetti che oggi coinvolgono BYD sono simili a quelli che tra il 2020 e il 2021 interessarono altri colossi tecnologici cinesi: come la Huawei, che allora cercava di sbarcare in Europa con il 5G, nuovo standard per cellulari e wi-fi, o come la Hikvision, che nel Vecchio continente aveva venduto decine di milioni di apparecchi per la gestione del traffico e la videosorveglianza, come telecamere e visori per il riconoscimento facciale. A partire dalla Gran Bretagna, molti governi europei, timorosi che orecchie e occhi cinesi s’infiltrassero nelle loro telecomunicazioni, bandirono la Huawei. Lo stesso capitò alla Hikvision, soprattutto dal marzo 2021, quando la Federal communication commission americana la mise nella «lista nera» di aziende cinesi e i suoi prodotti furono definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale e un rischio inaccettabile per la privacy e l’incolumità delle persone». L’Italia, all’epoca governata da Giuseppe Conte e dall’alleanza tra il Movimento 5 stelle e il Partito democratico, reagì in modo assai più blando. E questo malgrado già nel 2019 il Copasir, il Comitato parlamentare per il controllo sui servizi segreti, avesse sottolineato le pericolose novità introdotte due anni prima dalla Legge cinese sull’intelligence nazionale.
Al momento, nel nostro Paese, nessun attore politico s’è pronunciato sui rischi di uno «spionaggio cinese su quattro ruote». Forse anche perché, da noi, BYD è sbarcata nel 2023 e ha venduto meno di 6 mila vetture. Uno spunto è emerso solo nell’estate 2024, mentre girava l’ipotesi di un suo stabilimento in Italia. Il governo di Giorgia Meloni s’era sbilanciato a prescrivere che le auto eventualmente prodotte sul nostro territorio dovessero «avere sistemi multimediali fabbricati interamente in loco» e che il trattamento dei dati sarebbe stato interamente italiano. Perché fidarsi è bene, ma…