Secondo quanto si apprende dalle notizie che arrivano da Mosca, la Russia starebbe mobilitando altri 160.000 soldati per intensificare i suoi sforzi bellici in Ucraina. Nel frattempo, il presidente Trump è ansioso di mediare un accordo di pace nonostante gli ostacoli e la riduzione del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina. L’onere delle trattative ricade sempre più sulla cosiddetta “Coalizione dei volenterosi” guidata da Regno Unito e Francia, che però non riesce a nascondere i reali interessi degli attori coinvolti in vista della ricostruzione di un Paese ridotto in macerie ma con un tesoro nel sottosuolo. Uno dei fattori principali è stabilire quanto realmente la Russia rappresenterà una minaccia per la sicurezza europea dopo questo conflitto.
Per riuscire a farlo occorre che diplomatici e politici conoscano la storia. Per esempio, non tutti i leader occidentali danno l’idea di aver capito quanto effettivamente la Russia voglia riunificare i diversi popoli russofoni in un’unica “sacra nazione” e proteggere le proprie etnie presenti all’estero. In alcune parti dell’Occidente persiste la convinzione che le ambizioni imperialistiche russe non siano limitate all’Ucraina, ma quasi nessuno ha una visione chiara delle reali potenzialità belliche di Mosca. Un atteggiamento tipico, soprattutto dei media più “pro Ucraina”, è quello di non considerare la narrativa storica della Russia come parte dei negoziati. Infatti, anche se si raggiungesse un accordo, è improbabile che la percezione russa dell’Ucraina come stato “nazista e ostile” scompaia. Questa narrativa – propagata attraverso i media statali, il sistema educativo e persino in un parco a tema militare realizzato vicino a Mosca, rimane radicata nelle generazioni “senior”. Gli occidentali devono tenere conto di questo fattore nel definire la loro strategia nei confronti della Russia, cominciando a esaminare come la Russia ha affrontato la questione diplomatica nei conflitti passati. Inutile illudersi che in Ucraina avvenga qualcosa di diverso da quanto è accaduto in Cecenia (1994-1996, ma anche dopo), dove Mosca ha sfruttato il periodo tra le guerre per riorganizzarsi e lanciare una nuova offensiva; nonché in Siria, dove l’intervento russo, dal 2015 in poi, ha visto l’uso strategico dei cessate il fuoco non come percorsi verso la pace ma come opportunità prima di riprendere le operazioni militari.
Questi esempi rappresentano una strategia ricorrente: usare la diplomazia come un’opportunità tattica piuttosto che come un passo verso una pace duratura. Anche gli Accordi di Minsk (2014-2015), che miravano a porre fine ai combattimenti nel Donbass, non sono riusciti a produrre una pace duratura e hanno preceduto l’invasione del 2022. Comprendendo il passato i politici possono anticipare gli sviluppi e, in alcuni casi, persino per impedire che determinati scenari si avverino. E da questo nasce l’idea dell’invio di truppe per “mantenere la pace”. Da parte ucraina un punto di riferimento chiave di questo conflitto è il Memorandum di Budapest del 1994, quando Kiev rinunciò alle proprie armi nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte di Usa, Regno Unito e Russia. MA da quella lezione l’Ucraina ha tratto l’esperienza che gli accordi offrono una protezione limitata e questo, in parte, oggi spiega la riluttanza del Presidente Zelensky a impegnarsi nei negoziati e la sua persistente insistenza nell’ottenere solide garanzie di sicurezza.
Non a caso all’ultima riunione tra i ministri della Difesa (Gruppo E5) tenutasi a Palazzo Aeronautica, alla quale hanno preso parte il Ministro della Difesa Guido Crosetto e gli omologhi di Francia (Sébastien Lecornu), Germania (Boris Pistorius), Polonia (Wladislav Kosiniak-Kamysz), e Regno Unito (John Healey), il tema principale è stato approfondire come procedere nel caso che tra le parti in guerra fosse raggiunto un cessate il fuoco per “mantenere uno stretto coordinamento a sostegno a Kiev evitando duplicazioni e massimizzando l’impatto delle azioni congiunte”, come ha dichiarato Crosetto. Ma il francese Lecornu ha invece insistito sulla necessità di “rigenerazione rapida delle forze ucraine”, e non è certamente un approccio che favorisce la pace, semmai le vendite militari che Parigi vorrebbe mettere a segno dopo aver addestrato i piloti di Kiev e fornito caccia Mirage 2000-5, nonché dopo aver proposto di schierare ordigni nucleari francesi in Polonia attuando il “Trattato delle garanzie per la sicurezza” siglato tra i due Paesi.