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Blackout a sinistra

Blackout a sinistra

L’eccessivo utilizzo di rinnovabili ha spento Spagna e Portogallo. Così la rivoluzione verde inizia a tingersi di «pentimento rosso». Da Tony Blair a Romano Prodi, passando per i Cinque stelle, in tanti fanno marcia indietro

E buio fu. La Spagna rimase a lume di candela, assieme al Portogallo. Niente treni, sale operatorie, bancomat. Niente di niente. Il primo blackout dell’era green. Il peggiore mai visto in Europa. Pedro Sánchez, premier iberico ultra progressista, annuncia dunque una di quelle commissioncine d’inchiesta che promettono tonitruanti verità e consegnano fumosette supercazzole. Invece, dai robusti indizi raccolti finora pare che la colpa sia soprattutto delle energie rinnovabili. In Spagna eolico e solare raggiungono l’80 per cento. L’eccesso di produzione, assieme a una rete inadeguata, avrebbe mandato in tilt il sistema. Analisi inconfessabile, nel regno della transizione più ideologica. Mentre Pedro andrà «adelante con juicio», come l’omologo cocchiere dei Promessi sposi, l’apocalisse spagnola si trasforma allora in riprova: la salvifica sostenibilità può diventare pericolosamente insostenibile.

Così, la rivoluzione verde comincia a tingersi di pentimento rosso. Agli allarmati compagni tocca assistere all’inaudito. Continuano a maledire Donald Trump, nemico giurato della «truffa ecologista». Intanto, ascoltano sgomenti le ferine critiche di Tony Blair, già modello della sinistra europea. Il fu primo ministro inglese ora rivela l’inconfessabile: la politica che impone fine dei combustibili fossili e riduzione dei consumi è «destinata a fallire». Ed è sbagliato, aggiunge, chiedere alla gente «sacrifici finanziari e cambiamenti nello stile di vita quando si sa che l’impatto sulle emissioni globali è minimo». Il due per cento, nel caso della Gran Bretagna. Come noto, i principali responsabili sono invece Cina e India. L’ex premier, quindi, dileggia i tartufeschi leader: «Sanno che il dibattito è diventato irrazionale, ma sono terrorizzati a dirlo per paura di venir accusati di negazionismo».

Insomma, il divino Tony le canta come il forsennato Donald. E pure gli insospettabili cominciano a vacillare. Per esempio, l’eurodeputato Sandro Gozi: già sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni e ora capofila dei macroniani in Europa. «Ha ragione Blair» ammette. «Il green deal non basta. Serve una sinistra pragmatica, che parli al futuro». L’esatto contrario di quella italiana, che rincorre i fremiti antagonisti di Elly Schlein. Comunque, perfino Romano Prodi, un altro vecchio mito dei progressisti, eccepisce: «Ogni politica deve essere applicata in modo appropriato» ammette l’ex premier italiano, già presidente della Commissione europea. «Ho dedicato tante energie all’ambiente, dal Protocollo di Kyoto in poi, ma l’idea di puntare tutto su una sola tecnologia, o decidere che entro pochi anni non si possono più produrre auto a combustione interna, lo trovo assolutamente sbagliato». Per restare in famiglia: pure l’illustre fisico Franco Prodi, fratello del fondatore dell’Ulivo, chiarisce: «L’idea di poter soddisfare le esigenze energetiche solo con l’eolico, il solare e le fonti rinnovabili è assurda».

Non è solo illogica. È pure impraticabile. Il Rapporto adeguatezza Italia, pubblicato da Terna, frantuma l’eldorado ambientalista: «La capacità termoelettrica rimarrà fondamentale per coprire i picchi di potenza nelle ore più critiche dell’anno». Già: la stabilità della rete dipende ancora dal caro, vecchio, gas. Altrimenti si rischiano blackout a raffica. Capito Don Pedro? Il governo spagnolo, però, ha puntato solo su eolico e solare. Del resto, è l’audace piano della sinistra continentale. Quindi, di quella italiana.
In patria, il Pd assicura: «Le rinnovabili sono l’unica scelta che abbiamo». I Cinque stelle deflagrano: «No a questo governo fossile, vogliamo un futuro rinnovabile». Ma la nobile teoria enunciata nella capitale, viene sconfessata da volgari bisticci di provincia. Come in Sardegna, dove impera la pentastellata Alessandra Todde: nel 99 per cento del territorio è bandito ogni investimento nelle energie alternative. La Toscana, guidata dal governatore piddino Eugenio Giani, estende il divieto al 70 per cento della regione.

Insomma, l’impero del bene green vacilla proprio nei suoi granducati. Tanto che Legambiente, già fucina di parlamentari dem, nel suo ultimo rapporto denuncia: «Rischiano di fare scuola, inserendo opposizioni tout court che non lasciano spazio al dialogo e alla risoluzione di eventuali criticità» dettaglia il dossier, pubblicato lo scorso marzo. «Non sono poche, infatti, le regioni che hanno dichiarato di voler seguire la strada della Sardegna e della Toscana e vogliono porre limiti ostativi allo sviluppo di queste tecnologie».

Le pale sono bellissime solo nei campi altrui. E le lotte fratricide tra i supposti paladini diventano spietate. Come nel caso dell’impianto di Badia Tedalda, nell’Aretino: sette turbine eoliche da 189 metri di altezza. Giani, per ovviare, mutua dunque il mitico successo delle Sorelle Bandiera: «Fatti più in là, così vicino mi fai turbar, fatti più in là…à…à». Per l’esattezza, fino al confine con l’Emilia-Romagna. L’altro governatore dem, Michele De Pascale, però s’infuria. Scrive quindi all’omologo toscano: urge «rivedere la collocazione e la configurazione degli impianti». Italia Nostra lo spalleggia. Da tempo accusa Legambiente di sostenere la «lobby delle rinnovabili», impipandosene di «devastazione paesaggistica e danni ambientatali». Dunque, assalta: quegli ecomostri deturperanno il paesaggio ritratto nella Gioconda di Leonardo Da Vinci.

Sembra la decisiva riprova della teoria blairiana: i politici sanno che l’impatto sulle emissioni globali sarà minimo, ma non possono dirlo perché temono di passare da insensibili cattivoni. Detto altrimenti: perché deturpare irrimediabilmente il paesaggio, visto il risibile contributo alla causa? Senza considerare il rischio di produzione eccessiva, vedi il blackout spagnolo. L’Europa però procede «a fari spenti nella notte», come cantava Battisti. Il barbuto sciamano Frans Timmermans, ex commissario alla Transizione ecologica, è stato sostituito dall’ancor più scatenata Teresa Ribera. I suoi trascorsi esemplificano l’ardore: già vicepremier spagnolo, è stata lei la principale artefice della transizione iberica, concedendo incentivi favolosi alle rinnovabili. Al pari del suo predecessore, non tentenna nemmeno di fronte al conclamato sfascio dell’economia europea. Anzi. Davanti alla commissione Ambiente del parlamento di Bruxelles, qualche settimana fa, rielabora ancor più enfaticamente il mantra: «Rinunciare al Green deal è rinunciare alla vita».

Ursula von der Leyen, irresoluta presidente della Commissione europea, continua intanto la politica del gambero: un passo avanti e due indietro. A dispetto del professato realismo, restano gli utopistici traguardi iniziali. Il suo Ppe cannoneggia, ma solo a parole. Manfred Weber, appena confermato presidente del partito, rivendica: «Dove sarebbero oggi la nostra industria e i nostri posti di lavoro, se non avessimo fermato la politica climatica ideologica alla Timmermans?». In recessione, magari. Dove si trova la Germania da un abbondante annetto.
In realtà, il piano voluto dal guru olandese non è stato nemmeno scalfito: direttiva sulle case green, taglio delle emissioni del 90 per cento entro il 2040, vendita di soli veicoli elettrici dopo il 2035. Giorgia Meloni, la premier italiana, propone almeno di sospendere le norme per il settore automobilistico, visti anche i dazi americani. Eppure la portavoce della Von der Leyen, Paula Pinho, sorvola beatamente perfino sugli attacchi dei popolari, che pure hanno la maggioranza nell’Europarlamento: «La presidente sostiene pienamente il Green deal, che è stata una delle sue iniziative principali sin dal primo mandato».

«Sarà il nostro uomo sulla Luna» esultava la presidente nel 2019. Si sperava che almeno la catastrofe dell’auto e la desertificazione industriale fermassero la navicella spaziale, lanciata verso obiettivi iperuranici. Invece, per paura di perdere l’appoggio di verdi e socialdemocratici, la baronessa teutonica persevera. Forse anche lei, secondo la teoria blairiana, fa parte dei rei non confessi: meglio insistere con la cieca transizione, piuttosto che passare da voltagabbana negazionista.
Ma la Spagna si spegne e l’Europa vive tempi bui. Persino i compagni cominciano a tribolare. Ursula, prima o poi, sarà costretta a riportare il suo uomo sulla Terra.

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