I riflettori sono stati spenti da poco e la musica, potente, complessa, a tratti cacofonica, riempie ancora le orecchie degli invitati alla sfilata di Prada. Gli applausi ai due designer Miuccia Prada e Raf Simons lasciano poi spazio alle riflessioni su una collezione apparentemente “sbagliata” nel taglio dei pantaloni, troppo corti, troppo a sigaretta, negli accostamenti azzardati attraverso l’arancio e una melma di marroni, nell’uso di pesantezze poco estive ( la collezione riguarda la primavera estate z2026). Nell’uso della tuta.
Insomma, nulla di armonioso e, per usare un termine desueto, niente di donante. L’uomo Prada sembra provvisorio, come lo sono i tempi attuali. Indossa, apparentemente, ciò che capita. Sembra un fuggitivo, uno scampato a un apocalisse ingiustificata.
Certo non è un uomo bello, elegante, pettinato. Ma forse, quello che la collezione vuole chiederci è proprio questo: che senso ha oggi sembrare dei damerini? Dei manager impettiti? La modernità di Prada, forse, sta proprio nel suo principio di realtà. Anche quando l’uomo in passerella è in mutande.