Da quando Giorgia Meloni ha assunto l’incarico di Presidente del Consiglio, le opposizioni – in difficoltà e prive di una chiara direzione – non perdono occasione per agitare lo spettro «del ritorno del fascismo». Al loro fianco si schiera un eterogeneo insieme di sedicenti intellettuali, ex capi di governo, deputati, senatori, celebrità del mondo dello spettacolo, giornalisti e ampie porzioni dell’informazione mainstream, che offrono regolarmente spazio a figure come Alessandro Di Battista e Rula Jebreal, contribuendo alla diffusione di falsità su Israele e sul conflitto innescato da Hamas il 7 ottobre 2023. La parola d’ordine come da precise direttive di chi ha orchestrato e pagato questa gigantesca operazione di propaganda è: «Genocidio». Come osserva l’esperta di comunicazione Elisa Garfagna «L’accusa di genocidio da parte di Hamas è una mossa retorica che si ripete da 20 mesi e che è volta a delegittimare Israele e a suscitare la condanna internazionale. L’uso strumentale del termine “genocidio” inoltre rischia di sminuire la gravità di questo crimine contro l’umanità come ad esempio la Shoah. In maniera del tutto speculare, l’accusa di “politica della fame” serve a dipingere Israele come responsabile della crisi umanitaria, omettendo il ruolo fraudolento di Hamas nella gestione degli aiuti e nel conflitto. Ormai è chiaro che la guerra via terra è affiancata da una guerra di parole difficile da smontare, anche a causa della viralità che tale propaganda assume sui canali sociali». In questo clima di follia collettiva si è arrivati all’assurdo che, in alcuni Comuni – come nel caso di Lodi – venga richiesto, per accedere a spazi pubblici, di firmare una dichiarazione in cui si attesta «di non essere fascisti». Una contraddizione evidente, perché oggi in Italia esiste una forma aggressiva di neofascismo che si manifesta proprio attraverso l’intolleranza dell’estrema sinistra, dei centri sociali e dei movimenti pro-Hamas, che da oltre un anno agitano le piazze con cortei in cui si tollera ogni eccesso e dove le forze dell’ordine vengono sistematicamente aggredite nell’indifferenza generale. In molte università, attivisti filo-Hamas hanno conquistato spazi decisionali grazie alla passività – o alla complicità – di rettori e docenti, impedendo la libera espressione e minacciando chiunque esprima opinioni divergenti.
Per Celeste Vichi, avvocato e Presidente dell’Unione Associazioni Italia Israele: «È nella connivenza complice dei rettori e di tutta quell’accademia che boicotta il libero pensiero e censura persino la parola antisemitismo nei convegni, nei corsi, nei rapporti scientifici con Israele. È anche dover presentare un libro accompagnati dalle forze dell’ordine perché messo all’indice.Sono gli stessi che accusano gli ebrei nel mondo di fare abiura, chiedendo loro di rinnegare lo Stato ebraico. Israele e la sua esistenza rappresentano oggi la nuova colpa da espiare. È la summa divisio tra ebrei buoni ed ebrei cattivi: abiura e ti salverai, convertiti e vivrai. Non è cambiato niente nella storia: ideologie diverse, modalità di coercizione identiche. Il nazifascismo è qui, e se non ripariamo al più presto, ne pagheremo tutti le conseguenze».
Un giorno nero per Torino
Ieri, al Campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino, si è verificato un nuovo grave episodio di aggressione preordinata contro la libertà di parola e i principi fondanti dell’università e della democrazia. L’incontro dal titolo “Per le Università Come Luogo di Democrazia e di Contrasto all’Antisemitismo”, promosso da diverse sigle aderenti al Manifesto Nazionale per il Diritto allo Studio — tra cui l’Unione Giovani Ebrei d’Italia, Studenti per le Libertà, Studenti Liberali e Studenti per Israele — è stato interrotto con violenza da un gruppo strutturato di sostenitori di Hamas. Gli aggressori hanno fatto irruzione nell’aula dove l’iniziativa era prevista, gridando slogan come “Intifada” e puntando a impedire agli studenti ebrei e a chi li sostiene di prendere la parola, attraverso insulti, minacce, sputi e persino aggressioni fisiche. Alcuni degli organizzatori dell’evento sono stati persino colpiti, intimiditi e pubblicamente offesi. È stato inoltre rubato un telefono cellulare, gesto che denota la volontà non solo di intimidire, ma anche di cancellare eventuali prove della violenza commessa. E’ normale tutto questo? No ed è ora di dire basta.
Ogni tentativo di confronto civile è stato annientato fin da subito da atti di prepotenza, trasformando un luogo di apprendimento e confronto in uno scenario di coercizione, dove la violenza ha messo a rischio la sicurezza fisica di studenti, relatori, organizzatori e partecipanti che desideravano semplicemente assistere in modo pacifico alla conferenza. Il volto del nuovo totalitarismo si manifesta oggi nelle fila dei militanti pro-Hamas, che rimuovono le spille in favore degli ostaggi e che da mesi strappano gli striscioni che ne chiedono il rilascio. Un gesto che non è solo simbolico: è l’espressione di un clima di odio che si nutre della retorica antisionista, spesso presentata come distinta dall’antisemitismo, ma che nei fatti ne riproduce le stesse dinamiche e gli stessi obiettivi.
Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) ha così commentato l’accaduto: «Ai nostri ragazzi abbiamo trasmesso entusiasmo per lo studio e fiducia nel sistema universitario, nel quale coltivare amicizie e alimentare dialogo rispetto ai temi che ogni generazione si trova ad affrontare. Con questo spirito, i rappresentanti dei giovani ebrei italiani si sono recati oggi all’Università di Torino, con la kippà in testa e con l’intento di svolgere un sereno incontro e dibattito sui temi del diritto allo studio, della democrazia all’interno delle università e dell’antisemitismo.Sono stati invece aggrediti e cacciati, con violenza e veemenza. A loro va il nostro abbraccio e incoraggiamento a riprendere fiato dopo l’aggressione subita e a continuare ad avere fiducia nel dialogo.Un Paese democratico, una sede universitaria, un salone del libro – luoghi preposti allo studio e al confronto delle idee – non possono ospitare e legittimare persone che, con violenza e soprusi, negano ad altri di manifestare il proprio pensiero in nome della difesa di diritti e della pretesa di democrazia.Ribadiamo ancora una volta che la sicurezza non potrà mai essere sufficientemente garantita, pur con tutto il supporto delle forze dell’ordine, se ogni generazione non farà propria la cultura della convivenza, eliminando qualsiasi forma di prevaricazione e indifferenza». Sempre ieri, altri simpatizzanti di Hamas si sono ritrovati davanti all’ingresso del Lingotto per contestare la presentazione del libro di Nathan Greppi, ma sono stati allontanati. Ma il fatto stesso che il giornalista abbia dovuto presentare il suo libro «La cultura dell’odio» addirittura sotto scorta e con la presenza delle forze dell’ordine in assetto antisommossa rappresenta la conferma più eloquente delle tesi illustrate nel suo volume.