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Con il Papa americano è tornato il mistero, sulla scia di Ratzinger e Romano Guardini

Con il Papa americano è tornato il mistero, sulla scia di Ratzinger e Romano Guardini

Nei primi gesti di Prevost si intravede la lezione del teologo che ispirò Benedetto XVI: al centro della liturgia c’è Cristo

Papa Leone XIV è stato sorprendentemente chiaro (almeno rispetto agli standard a cui ultimamente ci eravamo abituati): «Dobbiamo riscoprire il primato di Dio e il mistero», ha detto parlando in occasione del Giubileo delle Chiese orientali. Queste chiese, ha proseguito, «nella loro ricchezza liturgica e spirituale, sono custodi di un tesoro prezioso per tutta la Chiesa». Quale sia questo tesoro è presto detto: il mistero. «Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana», ha detto il pontefice. «E quanto è importante riscoprire anche nell’Occidente cristiano il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità così tipici delle spiritualità orientali». Questo è il cuore del cristianesimo: il mistero.

E che cosa sia, questo mistero, ebbe a spiegarlo Joseph Ratzinger ragionando sulla morte di Gesù in croce. Essa diventa, scriveva, «abbandono di sé stesso al Padre per gli uomini. In questo modo l’orizzonte si estende, qui come nella Resurrezione, ben al di là del puro aspetto umano e ben al di là del puro fatto di essere stato crocifisso e di essere morto. Il linguaggio della fede ha chiamato mistero questa eccedenza riguardo al mero istante storico e ha condensato nel termine mistero pasquale il nocciolo più intimo dell’avvenimento redentore».

Questo mistero, questa opera di Gesù è il «vero contenuto della liturgia. Tramite questa, con la fede e la preghiera della Chiesa, l’opera di Gesù raggiunge continuamente la storia per penetrarla».

È indubbio che il concetto non sia facile da penetrare, i più grandi pensatori cristiani si sono arrovellati intorno a esso. Per capirci qualcosa è fondamentale la lettura di un breve testo di Romano Guardini che viene ora tradotto per la prima volta in italiano da Morcelliana a cura di Paolo Tomatis. Si intitola appunto Il mistero liturgico e si può dire che fu di ispirazione a Ratzinger nella composizione di Introduzione allo spirito della liturgia, un testo teologico che vendette in Germania quanto i più popolari bestseller e che già dal titolo si rifaceva alla lezione di Guardini (più precisamente a Lo spirito della liturgia del 1918, che il futuro Benedetto XVI lesse nel 1946).

Semplificando, potremmo dire che per Guardini il grande mistero sta nel fatto che Cristo sia una figura storica ma al contempo sia presente qui e ora: «La liturgia non ha fondamentalmente altro contenuto che la persona, la vita, la parola e l’opera del Signore», scrive. «Con l’Avvento inizia il tempo dell’attesa. Il Natale è il suo arrivo. Fino al giorno dell’Ascensione si tratta della sua vita, la sua sofferenza, morte, risurrezione. Quindi viene l’evento della Pentecoste, con cui interviene lo Spirito santo, il Pneuma, forma e forza di Cristo nella storia del mondo. E infine un tempo che si fa conoscere come il decorso della storia cristiana fino al suo termine, «tutti i giorni fino alla fine del mondo». Cristo è «allora» ma anche «adesso», e questo sorprendente modo di essere nel tempo si manifesta con particolare potenza nella messa. Ecco perché la liturgia è il cuore del cristianesimo. La messa non è una messa in scena, una sacra rappresentazione, una imitazione: è qualcosa di vivo e in qualche modo creativo, ma non può prescindere dal culto, cioè dalla forma.

Ed è qui che viene la lezione forse più attuale, benissimo colta da Ratzinger, quando ribadiva che l’uomo non può farsi da sé il proprio culto. Non può inventarsi il modo di celebrare la messa, di avvicinarsi al mistero. Questo culto, in poche parole, gli è dato, e non si può modificare a piacimento. Se ne deduce – per venire alle cose pratiche – che la forma va preservata, vanno preservati i segni, i gesti, i movimenti del corpo e la collocazione nello spazio. Tutto il resto, per usare le parole dello scrittore Martin Mosebach, è «eresia dell’informe».

In questo senso sono determinanti i gesti e i modi di Leone XIV. Gli abiti, i movimenti, le movenze: tutto riconduce (ed è giusto che sia così) a una tradizione che travalica il singolo uomo e partecipa dell’essenza del cristianesimo e della Chiesa stessa. Non si può modificare a piacimento, adattare creativamente e cambiare ciò che non è gradito solo perché si adatta poco allo spirito dei tempi.

Sempre dalla liturgia viene la seconda grande lezione di Guardini prima e di Ratzinger poi. Al centro della messa, del mistero, c’è ovviamente l’eucaristia. I padri della Chiesa chiamavano oratio la solenne preghiera eucaristica in cui il sacerdote si fa voce di Dio. Quella del sacerdote non è soltanto parola tuttavia, ma è azione. Nel senso che quelle parole producono un fatto concreto. «Questo agire di Dio, che si compie attraverso un discorso umano, è la vera “azione”, di cui tutta la creazione è in attesa», diceva Ratzinger. Nella liturgia, la parola è azione, produce cambiamento, modifica la realtà. Guardini Ratzinger testimoniano dunque una rocciosa verità: i segni sono fondamentali, la parola è decisiva per il cristianesimo ma anche per i non credenti, per l’uomo in quanto tale. I gesti vanno dunque misurati con attenzione e le parole non devono perdere il legame con la realtà e con la verità. Altrimenti non sono azione ma pura invenzione, sono artificiali e inutili o peggio dannose. Sembra che Leone XIV abbia preso molto sul serio questi temi almeno nei primi giorni del pontificato, anche quando ha invitato a usare parole disarmate, ben conscio degli effetti che possono produrre. Purtroppo non sembra che questa consapevolezza, in Occidente, sia molto diffusa.

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